Vita sostenibile

Lavoro insostenibile: perché le persone se ne vanno? La prospettiva di una millennial

Credo che ciascuno di noi abbia qualche volta desiderato di dare le dimissioni e trasferirsi dall’altro lato del mondo per vendere cocktail o noci di cocco sulla spiaggia. E alcuni l’hanno pure fatto. Recentemente, però, fin troppe persone hanno considerato di vendere cocktail e noci di cocco sulla spiaggia e indovinate? La maggior parte condivide la stessa opinione sulla ragione per cui desiderano ciò: hanno capito di non riuscire più a sopportare delle dinamiche lavorative tossiche.

Sebbene abbia soltanto un’esperienza professionale di quattro anni, ho visto come opera un buon numero di ambienti professionali. Ho parlato e condiviso opinioni con coetanei/coetanee e professionisti/e più anziani/e e ho fatto personalmente esperienza del burnout poiché ero imbevuta di una visione tossica su come una carriera di successo dovesse apparire.

Pertanto, quando è arrivata la pandemia e un numero sorprendente di persone ha cominciato a mettere in discussione la propria vita ho pensato: “Finalmente!”. Non ero poi così sorpresa. Sapevo fosse solo una questione di tempo. Voglio dire: il progresso è il progresso, anche quando produce idee e prospettive del genere.

Ecco perché sono qui a descrivervi la mia personale opinione su tutto questo complesso argomento delle dimissioni post-pandemiche. Potrebbe trattarsi di una semplicistica prospettiva di una millennial stravagante, va bene, come volete. Ma penso che risuonerà a molti lettori là fuori.

Un po’ di informazioni di background: cosa sono le Grandi Dimissioni?

Sembra che la pandemia ci abbia fatto rinsavire dall’intossicazione da ruota del criceto. Il boomerang che abbiamo lanciato anni fa è finalmente ritornato da noi e non è stato affatto gentile: ci ha, infatti, colpiti in pieno. Ahia. Sì, so che puoi sentire quanto faccia male.

Durante i vari lockdown ci siamo fermati e abbiamo riscoperto il nostro tempo, noi stessi, le altre persone che ci circondano, quelle altre persone che non ci circondano più.

Abbiamo compreso che c’era qualcosa di sbagliato e non avremmo più dovuto permetterci un tale livello di masochismo.

Non è stata quindi una sorpresa il fatto che a partire dal 2021 in molti hanno deciso di dare le dimissioni dal proprio lavoro. Quasi in massa, in realtà, ecco il perché delle “Grandi” dimissioni. Si tratta perlopiù di un trend statunitense che, in determinati settori più dinamici (come il digitale) si comincia a osservare anche in Europa.

Molte persone hanno cercato un nuovo lavoro, altre hanno deciso di avviare un’attività in proprio: ciò che le accomuna è il bisogno di cambiamento e miglioramento per le proprie vite.

Perché le persone si dimettono?

Quindi… perché le persone lasciano il proprio lavoro?

Personalmente, dopo aver fatto esperienza di burnout e aver parlato con individui che hanno scelto un nuovo sentiero, mi sono fatta un briciolo di opinione.

Innanzitutto, ho compreso che si tratta di un cambiamento generazionale così come quelli che, sociologicamente, si verificano a volte per scompigliare le certezze e rivoluzionare il puzzolente status quo che ci inorgoglisce tanto.

È sempre successo e sempre accadrà. E dobbiamo essere capaci di accettarlo, di accettare il cambiamento.

La cosa più complicata per noi esseri umani.

Ciò che i millennials e la generazione Z (nonché altri adulti più “anziani”, sebbene cerchino di tenerlo segreto perché hanno paura del giudizio) ricercano è equilibrio e scopo.

Equilibrio vuol dire che non ci dovrebbe essere burnout, esaurimento. Sì, burnout. Illuminiamo un attimo questo scheletro nell’armadio.

Cos’è il burnout? Si verifica quando ci si ritrova in uno stato di stanchezza mentale, fisica ed emozionale causato da uno stress eccessivo e prolungato nel tempo. Ci sentiamo sopraffatti, stanchi, emozionalmente prosciugati e depressi.

Sentiamo che qualsiasi cosa facciamo sia inutile e non venga apprezzata. Potremmo provare un senso di fallimento, insicurezza, perdita di motivazione, nessun senso di soddisfazione.

Non siamo capaci di occuparci al meglio della nostra vita e degli altri poiché ci sembra un totale spreco di energie.

Magari sfoghiamo la nostra frustrazione su altre persone, procrastiniamo e ci isoliamo. E persino la nostra salute fisica ne soffre a causa di un abbassamento delle difese immunitarie.

Non sembra poi così bello, vero?

E considerereste tutto ciò normale solo perché qualcuno, una volta, vi ha detto che se non ci distruggiamo a lavoro 80 ore la settimana allora siamo pigr*?

So che molte persone credono sia normale.

Ed è precisamente la ragione per cui molte altre persone hanno deciso di dimettersi.

Voglio dire, non guidereste la vostra auto senza carburante, no? Ci potreste provare, ma vi abbandonerebbe presto da qualche parte in mezzo al nulla.

Molti di noi hanno per fortuna cominciato a capire che per vivere una vita migliore e proteggere la nostra salute sono indispensabili quattro cose in un ambiente di lavoro: flessibilità ed equilibrio vita-lavoro, proteggere la nostra salute mentale, nutrire il nostro scopo e la nostra soddisfazione.

Cos’è l’equilibrio vita-lavoro?

Una vita professionale senza equilibrio vita-lavoro conduce allo sfinimento.

È un dato di fatto. Non fidatevi di nessuno che afferma il contrario: potrebbero essere pericolosamente intossicati.

L’equilibrio vita-lavoro descrive una condizione in cui i lavoratori possono suddividere il proprio tempo tra il lavoro e altre importanti attività e dimensioni della loro vita.

In teoria sono ormai andati i tempi in cui lavorare era l’unica cosa che un individuo era tenuto a fare. La pratica, però, è giusto un po’ diversa.

Fondamentalmente, grazie alla tecnologia noi esseri umani potremmo ridurre il tempo che spendiamo a lavoro o facendo i pendolari, il che diminuirebbe notevolmente anche i livelli di disoccupazione (ci sarebbe spazio per assumere più persone).

Nonostante il progresso, però, si osserva ancora una distribuzione delle risorse iniqua, una tassazione assurdamente alta e molti altri fattori che rendono tutto ciò al quanto irrealistico, per lo meno in questo momento storico.

Diventa quindi fondamentale riuscire a trovare un una parvenza di equilibrio tra la nostra vita e il nostro lavoro all’interno di questo caotico sistema. Un aspetto essenziale, poiché tale equilibrio ridurrebbe lo stress e migliorerebbe la nostra produttività (comunque intendiate il concetto capitalistico di produttività, potrebbe essere anche l’energia impiegata per i vostri hobby).

Per fortuna l’intera situazione pandemica ci ha fatto riflettere su questo aspetto più di prima, e quelle che in origine apparivano come delle politiche futuristiche, attualmente vengono implementate da molte organizzazioni.

Ciononostante, non è ancora abbastanza: sono ancora molti coloro che continuano a creare una corrispondenza tra la loro vita e il loro lavoro, come se non avessero nessun’altra identità al di fuori di quella.

Okay, per molti va bene così, non ne soffrono, riescono a riconciliare tutto il resto e amen. L’importante è che non ci si aspetti che per tutti valga lo stesso.

Ecco anche perché è importante parlare di e normalizzare il bisogno di un equilibrio vita-lavoro. Più ne parliamo, più viene accettato e promosso.

Le Cenerentole degli ambienti lavorativi: salute mentale, riconoscimento e scopo

Al di là dell’equilibrio vita-lavoro, ci sono almeno tre altre stravaganze dei millennial che in molti sottovalutano. Prima di tutto la salute mentale.

Ripetete dopo di me: la mia salute mentale è importante quanto la mia salute fisica.

Alcune dinamiche – sia professionali sia interpersonali – potrebbero impattare negativamente sugli individui, causando altissimi livelli di stress e sconforto con significative ripercussioni sulla salute mentale e fisica. Ansia, depressione, attacchi di panico e disturbi alimentari sono solo alcune di queste.

Dobbiamo ricordarci che ciascuno ha la propria prospettiva e vive le esperienze in modo unico.

Un ambiente lavorativo che non salvaguarda la salute mentale è pericoloso per ogni singolo individuo che vi lavora e, pertanto, anche per l’esistenza stessa di tale ambiente. Ecco perché la salvaguardia della salute mentale si dovrebbe normalizzare e priorizzare. C’è ancora così tanto stigma attorno all’argomento e non mi sorprenderei se in molti dessero le dimissioni per questo motivo.

Abbiamo poi il riconoscimento, probabilmente la ragione principale per cui la maggioranza abbandona la propria posizione. E indovinate perché? Quando i/le dipendenti si sentono valorizzati sono anche molto più coinvolti e motivati. Se questo non si verifica e sia l’equilibrio ricercato sia la salute mentale sono attaccati, allora perché restare? E tuttavia, moltissime aziende e organizzazioni ancora falliscono a riguardo.

Inoltre, l’assenza di equilibrio, riconoscimento e salvaguardia della salute mentale può anche influenzare il senso di scopo che ciascuno potrebbe possedere nei confronti del proprio lavoro. Come ho già scritto qui, tutti desideriamo che il nostro lavoro abbia un significato. Tutti vogliamo fare la differenza nel mondo e contribuire al bene supremo. È il nostro scopo, ciò che infiamma la nostra motivazione e creatività.

Eppure, per quanto gli individui possano trovare le loro attività “cucite su misura”, in assenza di equilibrio, cura e riconoscimento si comprende che, in fin dei conti, non ha molto senso restare in quell’ambiente. E a meno che non ci siano delle ragioni superiori per restare (motivi personali e quant’altro che non possiamo giudicare), si va via in cerca di migliori opportunità.

Questa necessità, tra l’altro, dà linfa al fenomeno della YOLO economy. YOLO sta per You Only Live Once (si vive una volta sola) e designa un nuovo approccio che spinge gli individui ad abbandonare i loro lavori – considerati frustranti per la qualsivoglia ragione – e rivoluzionare le proprie vite. Questo potrebbe portarli, ad esempio, a dar vita ad una propria attività o, più semplicemente, a trovare un nuovo lavoro più in linea con le loro aspirazioni e i loro bisogni.

Conclusioni

Cosa potrebbero fare responsabili e manager a riguardo? Mmh… forse la cosa migliore sarebbe comprendere quali siano le radici del problema, magari scegliendo di mettersi in discussione per poi agire di conseguenza in modo innovativo. Il che è TANTO, me ne rendo conto e non voglio minimizzarlo.

Ma sapete… questi cambiamenti sono qui per restare.

È il progresso d’altronde.

Dobbiamo adattarci per sopravvivere, no?

E se c’è una cosa che tutti stiamo imparando è che le dinamiche lavorative tradizionali non funzionano più. Se le generazioni passate consideravano il lavoro solo come un mezzo per sopravvivere e combattere la povertà, oggi non si tratta (solo) di questo. Bensì anche di equilibrio, flessibilità, connessioni umane, rifiuto di ambienti tossici, salvaguardia della salute e necessità di realizzare noi stessi come gli esseri umani complessi che siamo.

In effetti abbiamo scoperto l’acqua calda: il bisogno di lavorare in modo umano, sostenibile. Meglio tardi che mai.

G.

Fonti

Forbes, Viaggio nel fenomeno delle grandi dimissioni: le aziende ancora non capiscono perché le persone si licenziano, disponibile qui https://forbes.it/2022/02/07/grandi-dimissioni-causa-cosa-le-azienda-non-capiscono/

Harvard Business Review, Who is driving the great resignation, disponibile qui https://hbr.org/2021/09/who-is-driving-the-great-resignation

McKinsey, ‘Great Attrition’ or ‘Great Attraction’? The choice is yours, disponibile qui https://www.mckinsey.com/business-functions/people-and-organizational-performance/our-insights/great-attrition-or-great-attraction-the-choice-is-yours

Un commento

  • Impiegato

    Nella prospettiva generazionale hanno funzionato per Baby Boomers o X Gen anche grazie alle  congiunture favorevol i di crescita economica e tecnologica, ma oggi non sono piu credibili nello stesso modo. Per Millennials e Zed Gen (ma anche per le generazioni piu adulte) oggi e assolutamente normale darsi la possibilita di poter cambiare continuamente il proprio ruolo lavorativo. La “Grande Rassegnazione”, oltre le interpretazioni economiche e politiche, ci fa allora accorgere che probabilmente e in atto il piu grande momento di orientamento professionale collettivo della storia. Una nuova generazione di lavoratori e lavoratrici che davvero riescono a domandarsi se sono sulla strada giusta, agendo senza condizionamenti, senza approvazioni esterne o riconoscimenti materiali. E senza essere troppo legati al denaro, al potere e alla descrizione vecchio stile del “successo”.

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