
La sostenibilità è inclusiva?
“Sì, quello che dici è interessante. Mi piacerebbe davvero usare quest’alternativa sostenibile, ma per adesso costa troppo e non posso permettermela.”
“Ti dispiace se non uso la coppetta mestruale? L’ho già provata ma non fa per me. Preferisco gli assorbenti lavabili.”
“Posso partecipare allo sciopero per l’ambiente anche se non sono una persona vegana?”
E così via.
Negli anni ho sentito tante affermazioni del genere e ho compreso due cose: uno, non avevo dato il giusto peso ad ogni singola prospettiva di coloro che avrebbero potuto ricevere più danni che benefici dalle nostre scelte. Colpa mia, non si smette mai di imparare.
Due, tante persone si sentono escluse dal vivere una vita più sostenibile e, ancora peggio, si sentono giudicate a causa di ciò.
Sembra che la sostenibilità sia un club esclusivo.
Cavolo, non mi ero mai considerata una elitista della sostenibilità: ho sempre pensato che ogni più piccola azione sostenibile sia meglio di niente e ho provato a far comprendere alle persone che chiunque può fare la sua parte.
Per questo motivo è stato uno shock scoprire che, a quanto sembra, alcuni sostenitori/attivisti/volontari di sostenibilità ambientale e sociale lasciano alcune persone indietro senza rendersene conto.
Sì, sfortunatamente succede.
E di solito si verifica quando vediamo la realtà con un approccio “o bianco o nero” senza comprendere che, al contrario, tale realtà è fatta dall’intersezione di strati differenti.
Ecco perché preferisco parlare di, e sensibilizzare sul, concetto di sostenibilità intersezionale. Per me, infatti, il pianeta può essere salvaguardato solo se affrontiamo ogni singolo aspetto delle nostre vite.
Cos’è la sostenibilità intersezionale?
Per sostenibilità intersezionale si intende un approccio integrato del vivere in modo sostenibile che interseca diverse dimensioni della nostra vita.
La sostenibilità, infatti, non riguarda solo l’ambiente, ma anche la dimensione sociale, economica e culturale delle nostre società.
Occorre dunque guardare il quadro generale: le sfide globali, locali e individuali sono interconnesse e non possono escludersi a vicenda.
In altre parole, la sostenibilità non può essere esclusiva.
Cos’è l’inclusione?
L’inclusione può essere definita come l’atto di rendere una persona parte di un gruppo dove ogni membro ha gli stessi diritti e le stesse opportunità.
Ha quindi un impatto sul modo in cui le persone si sentono ascoltate, libere e al sicuro di esprimere sé stesse, nonché su quanto avvertano un effettivo senso di appartenenza.
Di conseguenza, è possibile affermare che l’inclusione consiste anche nell’insieme delle politiche e delle azioni che permettono a tutti gli individui di una società di avere accesso alle risorse e alle opportunità a loro disposizione.
Perché l’inclusione è importante per la sostenibilità?
L’inclusione è fondamentale per realizzare la sostenibilità, altrimenti non sarebbe immaginabile alcun vero cambiamento.
Affinché questo si verifichi occorre pertanto adottare un approccio intersezionale che ci guidi verso una sostenibilità inclusiva.
Ciò può avvenire sia in termini strategici – ad esempio, tramite le strategie di responsabilità sociale d’impresa – sia in termini letterali – senso di appartenenza, accettazione e sicurezza umanamente creati all’interno di un dato ambiente.
Non può esistere alcuna giustizia ambientale senza giustizia sociale. E non potrebbe esistere nessuna delle due se non provassimo a cambiare l’intero sistema in cui viviamo.
In altre parole: non possiamo proteggere, ad esempio, un territorio senza prenderci cura delle persone marginalizzate che ci vivono.
Si otterrebbe senza dubbio un successo temporaneo, e tuttavia quelle persone sarebbero ancora marginalizzate e potrebbero fare tutto ciò che è in loro potere per provare a migliorare la loro vita con i mezzi a disposizione, che non sono sempre così sostenibili.
Potremmo quindi aiutare queste persone a uscire dalle trappole sociali, economiche e psicologiche in cui vivono accettando le difficoltà che hanno e lavorando a partire da quelle, senza tagliarle fuori dal movimento o qualsiasi altra cosa soltanto perché non corrispondono ai nostri personali criteri su come un/a attivista debba apparire.
Il che mi porta ad un’altra domanda…
Siamo sicuri che la sostenibilità sia inclusiva?
Beh, da una parte sì.
Dall’altra, mmm. Non ne sono sicura.
È un dato di fatto che le strategie di sostenibilità devono ancora affrontare alcuni tipi di discriminazione che si verificano proprio all’interno delle sue fila: razzismo, abilismo e ageismo sono solo alcuni di questi fenomeni.
Tali comportamenti emergono di solito quando ci dimentichiamo che siamo diversi e viviamo le difficoltà in maniera diversa.
Presumiamo che la nostra soluzione andrà automaticamente bene a tutti in ogni situazione, e se qualcuno ci si avvicina affermando che forse per alcuni quell’altra soluzione andrebbe meglio, ci sentiamo attaccati personalmente e ci mettiamo sulla difensiva, nella modalità “non si può scendere a compromessi”.
In questo modo escludiamo ogni forma di dialogo. Facciamo delle esclusioni precise.
Ad esempio, le persone con disabilità si trovano spesso in svantaggio, il che le rende vulnerabili alle conseguenze distruttive della crisi climatica. Come se non bastasse, alcun* attivist* non hanno ancora compreso che non tutte le soluzioni per cui si battono possono essere usate dalle persone con disabilità, che potrebbero avere necessità completamente diverse. Di conseguenza, se l’unica opzione suggerita è un approccio “Eh, fatti tuoi”, si finirebbe per escluderle da certe strategie di sostenibilità.
Zero punti per la sostenibilità sociale ed ambientale.
Quindi, ricordiamoci di questo ogni volta che interagiamo con individui il cui supporto alla causa è importante ma il cui equilibrio/background è un po’ instabile: se proponiamo un approccio “questo o quello”, “bianco o nero”, la nostra strategia di sostenibilità non sarà inclusiva e probabilmente andremo incontro al fallimento.
Perché la sostenibilità deve essere inclusiva?
Se vogliamo davvero ottenere un impatto duraturo e positivo, dobbiamo essere inclusivi.
Non dobbiamo letteralmente lasciare nessuno indietro.
Ovviamente sono cosciente del fatto che tutte le persone hanno dei bias e qualsiasi movimento di buon cuore possiede il suo tallone d’Achille, ma questo non vuol dire che dobbiamo chiudere un occhio su comportamenti del genere. Potrebbero potenzialmente fare del male all’obiettivo finale.
Così come noi sostenitori/attivisti/volontari ci siamo allenati/e ad educare le altre persone a combattere i loro bias e le loro cattive abitudini, dobbiamo anche educare noi stessi/e a combattere i nostri bias e le nostre cattive abitudini.
Occorre comprendere che siamo circondati da prospettive e condizioni differenti, anche all’interno del movimento a cui aderiamo o che in qualche modo idolatriamo.
Non possiamo marginalizzare o escludere quelle persone che non corrispondono al 100% alla nostra visione di come dovrebbe apparire il mondo perfetto. Forse loro sono d’accordo per l’80% e va bene, perché siamo dalla stessa parte, quindi proviamo ad ascoltare a cosa faccia riferimento quel 20%: condizioni economiche? Salute fisica? O magari salute mentale? Altri tipi di disparità? E così via.
Ogni persona ha un passato e un bagaglio diversi e tutti agiamo a partire da questi due elementi. Per questo motivo alcune persone sono più privilegiate di altre, è un dato di fatto. E cosa facciamo a questo punto?
Si deve venire a patti col fatto che ci siano dei privilegi anche all’interno dei movimenti per la giustizia sociale e ambientale, e dobbiamo riconoscerli e affrontarli di conseguenza.
Occorre iniziare a lavorare a partire dai nostri privilegi, dai nostri bias e dalle nostre difficoltà.
Studi ed esperienze hanno dimostrato che se un approccio sostenibile alla vita non è inclusivo, allora non è possibile raggiungere gli obiettivi a cui si aspira. Si otterrebbero soltanto dei risultati fittizi e temporanei che condurrebbero quasi immediatamente ad altri problemi.
Se non prendiamo le difficoltà delle altre persone in seria considerazione, se rimpiccioliamo le altrui difficoltà etichettandole come “pigre” o “ignoranza” senza suggerire altre opzioni altrettanto valide che possano andar bene alla loro situazione personale, se ci chiudiamo nella nostra torre d’avorio, allora nessuno ci ascolterà.
A quel punto, se chiunque volesse provarci, magari per curiosità, e dovesse percepire un qualsiasi tipo di approccio coi paraocchi, potrebbe benissimo decidere di non ascoltare di proposito.
E perderemmo una preziosa opportunità.
Quindi, per concludere, dovremmo sviluppare un approccio sostenibile alla comunicazione: proviamo a lavorare sulle nostre capacità di ascolto, empatia e comunicazione. Abbiamo già gli strumenti per farlo, dovremmo soltanto applicarli alla nostra persona.
G.
Cibo per la mente
McKinsey (2021), Our future lives and livelihoods: Sustainable and inclusive and growing, disponibile qui.
BusinessWiz (2021), Sustainability & Diversity, Equity, and Inclusion, disponibile qui.
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