
È tempo di una comunicazione “sostenibile”? Un mondo più equo tramite le parole
Da piccola osservavo le persone urlarsi contro e sempre lamentarsi di qualsiasi dettaglio i loro sensi potessero percepire. Mi si stritolava lo stomaco. Non capivo perché non riuscissero a comprendersi. Perché, invece di ascoltare, mettersi nei panni dell’altro individuo, tentassero solo di prevalere. Non me ne facevo una ragione. E talvolta, il mio istinto ancora non vi riesce. Ciononostante, crescendo sono riuscita a comprendere, razionalmente, le ragioni dietro tali fenomeni. Sebbene ciò non significhi che li accetti.
È stato questo probabilmente ad aver installato nei miei neuroni l’interesse per la comunicazione. Un interesse che va al di là del semplice atto di “scegliere le parole giuste quando si scrive un report” o “eliminare inutili parole chiave quando si gestisce una sponsorizzata sul social media X”.
L’ho compreso quando ho approcciato la comunicazione interculturale durante la triennale. Mi sono poi interessata a come viene strutturata la comunicazione istituzionale non soltanto a seconda del pubblico in sé ma anche per soddisfare determinate discutibili agende, e le ripercussioni aggressive che ciò produce nella vita delle persone. Allo stesso tempo, ho deciso ben presto di cambiare il mio focus e le mie parole, nonché il modo in cui mi approccio all’immaginario mio e degli altri.
Ogni tanto mi chiedo, come in un loop, se sia arrivato il tempo di una comunicazione (pubblica) sostenibile. Di pratiche che producano benefici durevoli, non soltanto a livello ambientale.
Uno degli insegnamenti dell’intera narrativa Covid è che sì, lo è. O almeno, lo sarebbe. Virus a parte, siamo stati colpiti da un’altra malattia: l’infodemia. La Treccani la definisce come la “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.”
In aggiunta a ciò, considero l’infodemia più come l’ennesimo sintomo di una concezione di comunicazione pubblica che permea il nostro mondo e trascende le professionali pareti dei dipartimenti di comunicazione e delle agenzie.
Questo sintomo è amico di quelle persone che urlano poiché mancanti della volontà di dialogare e comprendersi; amico di parole incoerenti e sconclusionate per amor del profitto; amico del “è sempre stato così, quindi fattelo piacere”. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se i nostri antenati si fossero arresi alla narrativa “è sempre stato così.” 😀
Quindi sì, credo che sia arrivato il momento di sviluppare una comunicazione pubblica (e privata, se volete, anzi!) sostenibile, etica. Un nuovo approccio che benefici mittente e destinatario su molteplici livelli. Che promuova il rispetto basilare per l’umanità e l’ambiente.
Cos’è innanzitutto la comunicazione?
Sappiamo che la comunicazione è un processo di “condivisione con l’altro”: un trasferimento di idee, pensieri o sentimenti da un mittente ad un ricevente tramite mezzi verbali o non verbali. In quanto tale, può assumere differenti sfumature a seconda del contesto in cui si verifica, il mittente, l’interlocutore/pubblico di riferimento, l’obiettivo.
Sì, l’obiettivo. E quando parlo di obiettivo della comunicazione sostenibile, intendo dire che possiamo utilizzare la comunicazione in modo tale da raggiungere un obiettivo che non riguardi esclusivamente la sostenibilità e l’ambiente ma abbracci più dimensioni. Quali? Un immaginario differente, un mondo empatico di inclusività, dove organizzazioni e aziende agiscono eticamente a partire dal modo in cui comunicano sia verso l’interno sia verso l’esterno, dove si ottengono dei miglioramenti per l’intero pianeta per mezzo di pratiche comunicative sane.
In particolare, possiamo considerare quattro principali aree-obiettivo:
1. Comunicare per cambiare l’immaginario ed educare
L’immaginario è chiave in un processo comunicativo. Creiamo un immaginario per persuadere le persone affinché acquistino i nostri servizi o prodotti. Creiamo un immaginario quando apriamo un blog su un determinato argomento e desideriamo che gli utenti ci leggano. Creiamo un immaginario attorno a noi se si tratta di noi stessi che vogliamo promuovere.
Il nostro immaginario permea la nostra vita: è il filtro tramite cui osserviamo e scannerizziamo la realtà.
Ed è anche costantemente influenzato e sollecitato dalla moltitudine di impulsi che riceviamo ogni singolo istante. Per questo motivo può corrispondere alla realtà, ma potrebbe anche non farlo. Esempio: magari ci è stato detto di essere nati un un’area povera o in un periodo di grave crisi dove nulla può essere raggiunto e le nostre azioni sono inutili (immagino suoni familiare a molti di voi). La voce di qualcuno il cui immaginario è stato plasmato dalle medesime affermazioni e non è stato capace di credere che qualcos’altro potesse essere possibile. E così abbiamo pensato e agito di conseguenza.
Poi la voce dell’immaginario di qualcun altro ha cambiato l’ordine e il significato delle parole, facendo manifestare la magia. Abbiamo compreso che ciò che facciamo ha importanza. Che abbiamo opportunità non importa il tempo né il luogo.
Un messaggio diverso può fornirci gli strumenti di cui abbiamo bisogno per grattare la superficie e pulire gli strati di polvere di cui era incrostata. Il semplice atto di modificare il modo in cui comunichiamo al fine di creare un diverso immaginario può essere il filo rosso tra differenti approcci comunicativi.
2. Comunicare per promuovere empatia, comprensione e inclusione
Abbiamo assodato che comunicare vuol dire ascoltare. Per quanto si tratti di un atto di condivisione e trasferimento di informazioni con un interlocutore, come potremmo farlo senza considerare, appunto, l’altro? Non vi è comunicazione di successo senza un buon vecchio ascolto.
Ciò dovrebbe implicare anche una serie di capacità. Innanzitutto l’empatia, cioè la capacità di sentire e comprendere i sentimenti di un altro individuo, che è diverso dalla compassione. Consiste nel mettersi nelle scarpe altrui senza minimizzarne i sentimenti. E no, non è così semplice essere empatici anche se crediamo, troppo facilmente, di esserlo.
L’empatia si basa, tra l’altro, sull’ascolto attivo, il cui obiettivo è ascoltare davvero l’interlocutore e farlo sentire ascoltato e valorizzato. Si è coinvolti con chi parla in modo proattivo, si parafrasa e riflette ciò che si sente, trattenendo il bisogno di giudicare e consigliare.
Una comunicazione sostenibile dovrebbe anche essere inclusiva. Il linguaggio inclusivo dà valore all’impatto che le parole possono avere sugli esseri umani ed è libero da stereotipi, pregiudizi, limiti e qualsivoglia aspettativa negativa. Cambia davvero l’immaginario: crea un mondo dove persone con background ed esperienze differenti e variegate possono davvero avvicinarsi e sentire un senso di appartenenza.
3. Comunicare per promuovere un’economia etica
Quando si tratta di aziende, la comunicazione è certamente una delle chiavi del loro successo, ed è diretta sia verso l’interno (i dipendenti) sia verso l’esterno (il pubblico di riferimento). Deve quindi, idealmente, motivare, informare e convincere. Se guardiamo all’immaginario che crea, questo è di solito basato sull’aumento del profitto, il che potrebbe anche portare a delle pratiche non proprio trasparenti.
Al contrario, affinché la comunicazione d’impresa assuma connotati sostenibili ed etici, dovrebbe tradursi in piena trasparenza, onestà, comprensione reciproca e assenza di giudizio diretta verso tutti gli attori coinvolti (clienti, investitori, impiegati). E non è soltanto una questione di CSR (alias responsabilità sociale d’impresa) o un modo come l’altro per trasmettere l’immagine di impresa responsabile od orientata verso un dovere civico.
Quando alla comunicazione interna, questa consiste in sostanza nel creare un ambiente di lavoro armonioso ed efficiente dove tutti vanno d’accordo e sono sullo stesso piano. Quanto alla comunicazione esterna, questa dovrebbe implicare un messaggio che sia accessibile al pubblico, veritiero e coerente con i valori dell’azienda. E se ciò, infine, si traduce in benefici sociali e ambientali, ancora meglio.
Allo stesso modo, la comunicazione d’impresa può anche essere utilizzata per rilasciare informazioni precise sulle abitudini di consumo ed incoraggiare comportamenti responsabili da parte dei “consumatori”. Magari evitando il greenwashing. Il che ci porta al prossimo punto.
4. Comunicare la sostenibilità
L’ultima dimensione riguarda le pratiche sostenibili e come possono essere intenzionalmente e correttamente comunicate. A tal riguardo, il principale obiettivo della comunicazione per la sostenibilità è disseminare dati per informare ed educare gli individui, ottenere un buon livello di coinvolgimento sociale, promuovere nuove forme di solidarietà e responsabilità.
Ad esempio, ciò può verificarsi in relazione a specifiche campagne (ad esempio per ridurre le emissioni delle auto), marketing sociale o come parte di una strategia di CSR per informare il pubblico sulle misure sostenibili che sono state adottate.
In questo caso la sfida principale è informare, sensibilizzare, coinvolgere i cittadini ed influenzare percezioni e comportamenti senza cadere vittima degli avvoltoi della comunicazione sostenibile. Quali? Greenwashing, i cliché del marketing “green”, azioni che non corrispondono alle prediche, strumentalizzazione.
Quindi adesso, dopo aver volato attraverso questi paragrafi vi chiedo di nuovo: siamo pronti per questo? Credete che si possa fare una comunicazione sostenibile? E soprattutto, come?
G.

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